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Sci di fondo

Sci di Fondo – Le emozioni di un atleta alla prima Marcialonga: il racconto di Mattia Armellini

Quando ci ha dato la responsabilità di proseguire il suo lavoro su Fondo Italia, sito che ha creato spinto dalla sua grande passione, Giorgio Brusadelli ci ha fatto una importante indicazione: "Deve essere anche la voce degli atleti, loro devono scrivere e raccontare problemi ed emozioni". Siamo quindi ben felici di poter pubblicare il racconto che ci ha inviato Mattia Armellini, fondista delle Fiamme Oro, che domenica ha partecipato per la prima volta alla splendida competizione che unisce le valli di Fassa e Fiemme, giungendo 41° al traguardo e imponendosi nella tappa di Coppa Italia. Buona lettura.
La prima Marcialonga di Mattia Armellini.
Che gara che è la Marcialonga!

Che poi non è solo la competizione in sé, ma è tutto l’insieme a renderla tanto magica. Il tutto inizia molto prima dell’appuntamento, c’è la preparazione, l’alimentazione mirata, l’allenamento, certo, ma poi, ad una settimana dal giorno X, l’atmosfera diventa elettrica. Tra appassionati non si parla d’altro, la pista inizia a prendere forma definitivamente con gli ultimi attraversamenti stradali innevati e si incontrano sempre più persone che effettuano la ricognizione della pista. Poi ad uno o due giorni dalla gara si iniziano a testare gli sci anche se i binari sono talmente trafficati che si fa fatica a fare anche quello. La salita della cascata la puoi provare soltanto il giorno prima, visto che la neve viene messa all’ultimo momento, e quando arrivi lí ti chiedi che sensazioni proverai il giorno dopo, proprio a quell’ora, in che condizioni arriveranno le tue braccia e la tua schiena, se ne avrai ancora per farla tutta a spinta oppure dovrai fare spina di pesce, ti chiedi che emozioni ti investiranno quando taglierai la linea del traguardo, ma non lo potrai sapere finché non arriverai ai piedi della salita con 67 chilometri alle spalle l’indomani. Forse è proprio questo che la rende così speciale, perché le sensazioni che sentirai non si possono replicare in allenamento, l’agonismo, il pubblico, la pista completa, tutte queste cose non ci sono in un giorno qualunque, ma solo il giorno della Marcialonga.

Il giorno prima della gara ho chiesto ad un mio amico fondista ma appassionato di bici, a che gara del ciclismo è riconducibile la Marcialonga. Mi ha detto che per lui è come se fosse la Milano-Sanremo, una classica monumento, con una salita finale che se affrontata da freschi fa ridere, ma dopo 280km di gara, su quella salita la differenza la fanno le energie rimaste e la grinta che uno ha e il più delle volte è proprio quella salita che decide il vincitore di quella edizione. Esattamente come la salita della Cascata.

La sera prima della gara è una sballo totale, tra agitazione, preparazione delle borracce per i rifornimenti e pezzi di velcro su tutta la tuta per attaccare gel da 3 euro l’uno (meglio non fare economia quando si tratta di evitare le crisi di fame), è difficile rimanere lucidi. Io ad esempio ero euforico, continuavo a correre avanti e indietro nella camera per allentare un po’ la tensione, e nonostante la sveglia sia puntata alle 5:30 del giorno dopo, si fa fatica a prendere sonno.
Suona la sveglia e ti alzi quando ancora ci sono le stelle, fai colazione, ti prepari e in un attimo, senza neanche accorgerti sei in griglia di partenza.

Allo sparo di pistola si parte ed è subito una giungla, a meno che non parti nelle prime posizioni, è un gioco tra superare persone senza avere contatti, avere cura dei propri bastoni (perché una volta che ti ritrovi in salita con un bastone rotto e sci da skating puoi anche girarti e tornare alla macchina), e sprecare il meno possibile, 70km sono pur sempre tanti. Quando si parte in un gruppone del genere e sulla pista ci sono massimo 3 binari la situazione è molto simile a quando si è nel traffico in macchina su una strada a 3 corsie. Vedi che la corsia al tuo fianco scorre di più, metti la freccia e ti ci butti dentro, e dopo 30 secondi la macchina che avevi dietro prima di cambiare corsia ti supera a doppia velocità.
Insomma, come detto, è una giungla.

La Marcialonga è si una gara lunga, dove hai tanto tempo per pensare al da farsi ma alcune cose accadono davvero molto in fretta e tu non puoi permetterti il lusso di temporeggiare, segui il tuo istinto e agisci di conseguenza: quello davanti a te cade e devi evitarlo, allo scollinamento della salita qualcuno aumenta il ritmo e non puoi concedergli nemmeno un metro anche se hai le braccia che bruciano, qualcuno scatta in piano e devi decidere se seguirlo oppure lasciarlo andare perché ha un ritmo troppo alto.
Fino a Canazei si tira a tutta (ricordate lo "sprecare il meno possibile"? Ecco, si fotta, non puoi mica perdere il treno!), come se l’arrivo fosse lì, dopo poco più di 19km, e invece a Canazei di chilometri all’arrivo ne mancano 50.
Poi si formano i gruppetti e a scendere ci si aiuta dandosi i cambi per chiudere sul treno davanti o non farsi prendere da quello dietro, si collabora anche se si è di squadre e nazioni differenti. A volte si parla, ma non per molto "It’s faster outside" oppure, "al prossimo rifornimento solo acqua!" o ancora, "diamoci cambi regolari senza strappare" e poco altro. I chilometri passano in fretta, soprattutto se c’è neve veloce, e in un attimo sei a Molina dove inverti il senso di marcia e torni verso la tanto temuta salita della Cascata dopo 67 chilometri di sola spinta.
Fa paura si, ma non perché sia particolarmente dura, piuttosto perché non capisci quanto ti rimane nelle braccia fino a che non fai la prima spinta sulle pendenze dell’ascesa finale. Ed è lì che la Cascata presenta il conto di tutto quello fatto prima, ogni scatto non necessario, ogni rifornimento mancato, ogni allenamento saltato durante i mesi di preparazione, sulla Cascata non ci sono più scuse, lí viene tutto a galla.

Sinceramente io non sono mai riuscito ad alzare lo sguardo per l’intera durata della salita, avevo male a tutto, schiena, collo, braccia, gambe, ma volevo godermela tutta. Il fatto di non essermi mai guardato attorno mi ha fatto però ascoltare più attentamente gli incitamenti delle persone a bordo pista.
Ecco, una cosa speciale della Marcialonga è proprio il tifo. Nelle gare normali solitamente sono i corridori che passano davanti alla gente che sta seduta sulle tribune a tifare, invece qui sono gli spettatori che inseguono lungo la pista gli sciatori e questa cosa è fantastica.
Per quanto mi riguarda ho notato tre tipi di tifosi differenti: ci sono gli appassionati di sci di fondo o che lo diventano per la Marcialonga, che non importa chi tu sia ma fanno il tifo a chiunque gli sfrecci davanti ed è sempre un piacere ricevere i loro incitamenti; poi ci sono le voci familiari, quelle che riconosci anche a distanza, che distingui tra tutte le altre, che possono essere quelle dei tuoi famigliari o dei tecnici che ti fanno il tifo o ti danno consigli; infine ci sono i fondisti professionisti in veste di tifosi perché per un motivo o per l’altro hanno deciso di non partecipare. Ecco, quel tipo di tifo ha davvero qualcosa di speciale, perché spesso chi ti incita sono persone che solitamente corrono contro di te in una normale domenica d’inverno e poi perché chi meglio di loro può capire come ti senti in quel momento? È un tifo empatico il loro, ecco perché è speciale.

Alla fine sono riuscito ad alzare lo sguardo solo nel rettilineo d’arrivo e una volta tagliato il traguardo mi sono lasciato investire dalle emozioni.
Mi sono accasciato sui bastoni, ho appoggiato la testa su un braccio e sono scoppiato a piangere, da solo, in mezzo alla gente, come un bambino alla sua prima gara. Non era né un pianto di dolore né un pianto di liberazione per la fatica appena compiuta, era un pianto di gratitudine. Gratitudine verso questo sport che tanto da quanto toglie, gratitudine verso le persone che mi hanno sempre sostenuto affinché io continuassi a sognare, in primis la mia famiglia. Ancora singhiozzante sono andato agli zaini portati dall’organizzazione dalla partenza all’arrivo, ho preso in mano il telefono e ho inviato la posizione su WhatsApp ai miei affinché mi raggiungessero. Appena li ho visti gli sono corso in contro di nuovo in lacrime e li ho stretti tutti in un forte abbraccio, mia mamma, mio papà e la piccola Cristel, la mia tifosa numero uno, lei che quando non vinco è più amareggiata per me più di quanto lo sia io. Superata la soglia dei 20 anni capita sempre più raramente di avere questi momenti con i propri genitori, ma credo che se in questa vita bisogna essere grati a qualcuno, quel qualcuno sono loro.

Era la mia prima vera Marcialonga, e mi sono appassionato a questa gara grazie a mio nonno che ogni volta che lo andavo a trovare mi raccontava delle sue imprese proprio in questa gara. Ci tenevo talmente tanto che credo sia stata l’unica volta nella mia vita in cui ho chiesto esplicitamente ai miei di venire a vedermi e li ringrazio di essere stati al mio fianco come ringrazio i tecnici delle Fiamme Oro per tutto il lavoro fatto, loro che queste gare le vincevano.

Quando dici a qualcuno che ti sei iscritto alla Marcialonga ti ritrovi davanti a due tipi di reazioni, quello che è gasato per te e che non vede l’ora di vederti in pista e quello che ti dice che non sai cosa ti aspetta e che sarà durissima. Non fraintendetemi, è davvero una gara dura, ma se un atleta che fa 800 ore di allenamento all’anno deve aver paura di affrontare una gara di 70km cosa dovrebbe fare uno che mette gli sci per la prima volta in griglia di partenza? Loro sono davvero gli eroi di questa manifestazione.

Questo è quello che ho provato a partecipare ad una classica monumento del fondo.

Che gara che è la Marcialonga!

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